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Intervista: Marco Sonzini, l’Italia a Los Angeles


Un salto nel buio, dalla nebbia della pianura padana al sole di Los Angeles, per seguire una passione nata da giovane e coltivata prima in Italia e poi negli Usa. Per approdare ai mitici Speakeasy Studios a lavorare anche pezzi da novanta italiani, come Vasco Rossi.

La gentilezza di Marco e la sua passion traspaiono in pochi istanti di conversazione. Non possiamo non cominciare con i suoi primi passi in questo mondo.

LucaPilla Quando hai scoperto questa passione e come l’hai coltivata?

Marco Sonzini La musica mi ha sempre accompagnato sin da quando ero bambino: il primo contatto è stato a 7 anni quando mi avvicinai alla chitarra classica e da allora è stato un percorso graduale, attraverso diversi anni di Conservatorio, per poi approdare alla chitarra elettrica e ai primi demo con la mia band. Una passione che mi ha portato a studiare Scienze e Tecnologie della Comunicazione Musicale all’Università Degli Studi di Milano, periodo nel quale ho scoperto, quasi per caso, il lato più tecnico della produzione musicale, principalmente perché mi domandavo come mai i miei primi tentativi di registrazione in cantina non suonavano come le canzoni in radio… Ricordo che le prime esperienze su una board furono live, in un locale a Piacenza in cui subentravo quando il fonico residente non poteva esserci. Avevo anche un amico che lavorava in un piccolo studio e non perdevo l’occasione di infilarmi di nascosto per cercare di decodificare quel mondo a me praticamente sconosciuto. In quel periodo acquistai anche il primo manuale di audio recording & editing e feci la mia prima internship alla Chocolate Audio dove ebbi il primo incontro con Pro Tools e fu in quell’occasione che decisi di approfondire audio engineering nel post laurea.

 

LP Quando hai capito che poteva diventare una professione a tempo pieno? In quale occasione?

MS In realtà all’epoca mai mi sarei aspettato di riuscire davvero a farne una professione a tempo pieno, avevo però un’idea precisa in mente: per cercare di avere almeno una possibilità avrei dovuto imparare sul campo dai migliori al mondo e in un luogo dove la produzione musicale fosse ancora ai massimi livelli. L’unica cosa che avevo capito era che continuare la specializzazione biennale a Milano non mi avrebbe portato nella direzione che avrei voluto, quindi durante il periodo di tesi iniziai a cercare un corso di audio engineering che facesse al caso mio, pratico e conciso: valutai principalmente l’Inghilterra e gli Stati Uniti. L’idea specifica di Los Angeles mi venne un giorno mentre ero alla Chocolate Audio e vidi su una mensola il diploma del Musicians Institute del proprietario Simone Coen, incuriosito gli chiesi della sua esperienza e capii subito che poteva essere la città adatta a me.

 

LP Il salto negli USA: siamo curiosi di sapere com’è accaduto, le difficoltà e i percorsi che hai seguito.

MS Sono arrivato a Los Angeles nel 2009, con una sola valigia e senza conoscere nessuno. Avevo un’auto affittata per i primi sei giorni in cui avrei dovuto cercar un appartamento e un coinquilino con cui condividerlo, il settimo giorno sarebbe incominciata la scuola a tempo pieno. Nel frattempo alloggiavo nel peggior motel di Downtown, di quelli che ci si ritiene fortunati a poterlo raccontare oggi… A ripensarci ora fa ridere ma fu a tutti gli effetti un completo salto nel buio. La prima difficoltà fu sicuramente adattarsi al minuscolo monolocale condiviso con uno sconosciuto. Per i primi nove mesi frequentai il corso di Audio Engineering della Los Angeles Recording School e le mie giornate erano scandite da lezioni teoriche e ore di studio. Era una struttura molto bel attrezzata con diversi studi al suo interno: una sala Neve VR 36 canali e una 72, una con un SSL 4000K G+ e una col più moderno 9000K, oltre ai vari laboratori con stazioni iMac individuali con i più comuni software e plug-in. Alla fine del percorso di studi ottenni anche le certificazioni Pro Tools Operator in Music e Post Production e divenne una sfida personale cercare di conoscere il software meglio di chiunque altro ed essere il più veloce e preciso possibile, abilità che nel mio caso ancora oggi si rivelano indispensabili per distinguermi in studio.

Il primo approdo nel mondo reale fu un’internship di qualche mese al Nightbird Recording Studio di Jed Leiber: un studio costruito in un parcheggio sotterraneo di un famoso albergo della Sunset Strip, il Sunset Marquis Hotel, in cui passavo giornate interminabili ad avvolgere cavi e lucidare i pavimenti. Ruolo decisamente più interessante fu invece dopo il diploma come runner al Mix Room a Burbank nella San Fernando Valley nel periodo in cui Lady Gaga stava registrando l’album Born This Way con il producer Fernando Garibay.

4 La regia degli Speakeasy Studios a Los Angeles, ph. Jako Giacomini La regia degli Speakeasy Studios a Los Angeles

LP Come sei approdato agli Speakeasy Studios e che ambiente hai trovato?

MS L’arrivo agli Speakeasy Studios è stato del tutto casuale e dettato dalla fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Si è svolto tutto tramite un veloce scambio di emails e un meeting in studio con il produttore, nonché proprietario Saverio Sage Principini che, per coincidenza, era da un po’ di tempo che cercava un assistente di studio e Pro Tools Operator. Ci incontrammo un venerdì e da quello stesso sabato iniziò un’affiatata collaborazione che dura tutt’oggi.

Il primissimo progetto a cui presi parte fu la produzione dei brani per la quinta stagione dei Cesaroni e da allora ho avuto l’opportunità di seguire in prima persona tutti i progetti dello studio nelle sue più diverse forme: dai Club Dogo a Romina Power, passando per i Lonely Island, Canadian Tenors e Kevin Bacon, fino ad arrivare a Eros Ramazzotti e a Vasco Rossi.

Lo studio è un’ambiente davvero magico, costruito in una vera Speakeasy Room di una enorme villa sulle colline di Hollywood. Al tempo del proibizionismo negli Stati Uniti, negli anni 20 del secolo scorso, non era insolito farsi costruire delle vere proprie stanze segrete in cui ritrovarsi a bere. Il bar originale è stato trasformato in un vocal booth e tutte le stanze della villa sono cablate alla Custom MCI JH-600 ad hoc per ogni session, in perfetto stile Led Zeppelin. Per esempio la batteria di Matt Laug che si può sentire nei dischi di Vasco viene microfonata nel living room ma un Telefunken AR-51 viene posizionato nella tromba delle scale per ottenere un enorme riverbero naturale.

5 Una parte dell'outboard agli Speakeasy, ph Jako Giacomini

Una parte dell'outboard agli Speakeasy 

LP Qual è l’hardware che trovi indispensabile negli studios, di cui non faresti a meno, e perché?

MS Qui è d’obbligo una premessa in quanto nel tempo libero (sempre meno a dire il vero) con la nostra compagnia Marson Audio ci divertiamo a costruire repliche di microfoni e compressori vintage modificandoli secondo i dettami dei personaggi più nerd del web e non, grazie anche alla fondamentale collaborazione con l’Head Tech degli Henson Recording Studios di Hollywood, Gary Mannon.  Ciò detto, nonostante sia un appassionato di outboard analogici e hardware in generale, col tempo ho imparato a non essere troppo dipendente dall’hardware perché c’é il rischio di rimanere bloccati e spaesati nel caso smetta improvvisamente di funzionare (cosa che tende ad accadere sempre e solo nei momenti più critici). Se però dovessi scegliere direi sicuramente un compressore classico, tipo LA2A o 1176 in registrazione specialmente per le sessioni di voci o in generale per sorgenti particolarmente dinamiche. In questo modo riesco a livellare sin da subito la performance, assicurandomi che sia sempre udibile ed articolata anche nelle parti sotto voce.

In generale cerco sempre di ottenere il suono che ho in testa prima di arrivare dentro Pro Tools per lasciare in fase di mix solo la parte creativa senza dover costruire il sound da zero una seconda volta e un compressore in input per me è uno dei passaggi. Per molti è un approccio rischioso in quanto in un certo senso distruttivo, ma credo che abbia il grande vantaggio di fare in modo che il vibe della canzone prenda forma più velocemente e quindi ispiri anche delle scelte di produzione ben delineate che altrimenti ci si trascinerebbe fino e ben oltre il mix. 

2 Il Marson Audio LA4All e l'equalizzatore italiano EFT Tassoni, ph Jako Giacomini

Il Marson Audio LA4All e l'equalizzatore italiano EFT Tassoni

LP Nel tracking usi il compressore LA2A  o l'1176. A quanti dB di compressione massima arrivi usando l'LA2A per la voce e a quanti sull'1176. Sempre parlando di compressori: che impostazioni di attacco, rilascio e ratio utilizzi sull'1176 per la voce?

MS Di solito sull’1176 uso un ratio di 4:1 per la lead e 8:1 per le background vocals. Per la voce mi piace avere la release veloce, tipicamente il knob tutto a destra o a ore 3, in base anche alla revision che sto utilizzando in quel momento. L’attacco invece di solito oscilla tra ore 3 e ore 12 in base al cantante, sto sempre attento a non settarlo troppo veloce perché distrugge tutti i transienti e provoca il tipico effetto iper-schiacciato particolarmente spiacevole all’orecchio. Per quanto riguarda il livello di compressione massima non ho una regola vera e propria, di solito mi fermo quando nelle parti più forti inizia e non suonare più naturale, il che dipende dal tipo di voce e di performance. Avendo l’1176 un rilascio veloce riesco ad accettare anche 5 dB di compressione, mentre per l’LA2A di solito cerco di rimanere intorno ai 3 dB.

 

LP Applichi i comp/limiter anche su altri strumenti dinamici: che schema mentale ti sei fatto circa il comp/limiter da usare sul basso, sulla cassa, sul rullante, sui tom e sulle chitarre?

MS Sul basso mi piace il nostro Marson LA4, clone dell’LA4A, modello Urei che non ebbe il successo dei suoi predecessori ma che sul basso ha un ottimo responso. Sulla cassa uso il Dbx165A che è particolarmente versatile in quando ad attacco e release, riuscendo a coprire un range vasto di sonorità. Sul rullante l’1176 Black Face rimane il mio preferito; sui tom metto l’LA3A oppure il Neve 33609J. Sulle chitarre acustiche invece mi piace l’ADL1000 oppure il compressore del Focusrite ISA430: sono sempre cauto nel comprimere le chitarre acustiche in registrazione perché è facile snaturarne il suono se overcompresse; è uno di quegli strumenti che aspetto a comprimere una volta che la canzone ha preso forma, quando sono certo quindi del ruolo che deve ricoprire. Il modo in cui le acustiche vendono trattate e compresse varia sensibilmente dal tipo di arrangiamento a cui si sta lavorando e l’ultima cosa che voglio è avere delle tracce registrate con in mente un chorus spinto rock con tutta la band e che devono poi funzionare in un breakdown chitarra e voce deciso a posteriori… Per le chitarre elettriche invece mi piace il carattere del Dbx160, l’ADL1000 o LA4 per delle pulite funky oppure l’1176 Blue Stripe per i soli taglienti.

3 Il mic Sony G800C usato per le voci, compresa quella di Vasco Rossi. Ph Jako Giacomini

Il mic Sony G800C usato per le voci, compresa quella di Vasco Rossi

LP Hai qualche catena preferita?

MS Certamente, la mia catena vocale standard, quella per intenderci che uso con Vasco, è il Sony C-800G dentro un Neve 1073 dentro un LA2A clone point to point costruito con pezzi new-old-stock (vintage ma ancora chiusi in scatole sigillate) che Saverio ha costruito anni fa e che ha ribattezzato ‘LA2Rome’, per finire dentro la HDX di Pro Tools. La scelta del compressore però dipende dal tipo di materiale: se lavoro ad un disco Hip Hop o Rap l’LA2A non è abbastanza veloce per catturare tutti i transienti della voce, a quel punto preferisco un 1176 Blackface revision D con l’attacco settato più o meno a ore 3 e la release più veloce possibile. Se decido di usarne due in catena di solito metto prima l’LA2A e poi l’1176. Per gli assoli di chitarra invece mi piace l’1176 Blue Stripe revision A, che ha un carattere particolarmente acido e aggressivo e che riesce a far risaltare bene le chitarre soliste anche nelle tracce più affollate. Sulla batteria uso invece un dbx165A sul kick out, 1176 rev D sullo snare top e il Neve 33609J sulla coppia di overhead. Mi piace invece comprimere le stanze stereo con un clone di recente costruzione del Pye Compressor, compressore che in mix utilizzo per la parallel compression di tutta la batteria. Un altro mio preferito, per essere forse il compressore meno trasparente e più aggressivo di sempre, è il DBX160, che amo sulle tastiere lead, sulle background vocals rock e sulle chitarre funky.

 

LP Microfoni e i preamp: i tuoi preferiti o quelli su cui andare sul sicuro?

MS Il Sony C800G sulla voce batte quasi sempre qualsiasi altro contendente, per la sua trasparenza e apertura sulle alte senza essere spigoloso. Se cerco più carattere e colore invece mi piace il Neumann 67 e per voci da trattare pesantemente lo Shure SM7. Come overhead della batteria gli Shure KSM44, Neumann U87 o AKG C12 se il set di piatti non sono troppo aspri; per lo snare il classico Shure SM57. Sui toms i Senneheiser vintage 421 grigi e per l’hihat il 451. Sui cabinets di chitarra uso uno Shure 57 e un 421 e per mantenere la fase coerente il più possibile allineo il top di plastica del 421 con la scritta ‘SM57’ del 57: al primo sguardo le capsule sembrano distantissime ma in realtà l’allineamento di fase è assicurato al 100%, provare per credere! Per le chitarre acustiche ormai è d’obbligo il Telefunken ELA M260, un fantastico tube pencil mic. Per quanto riguarda i preamp sono un grande fan classici Neve 1073, oppure i Neve vintage 1086, 1064 o 1081: difficile sbagliare. In quasi tutte le occasioni li spingo al limite senza troppi indugi per evidenziare tutto il colore e il carattere che hanno da offrire. Una validissima alternativa moderna e assai più abbordabile che mi ha colpito è il Golden Age Pre73 modificato con i trasformatori Carnhill: sound fantastico e disponibile per tutti. Il preamp del Focusrite ISA430 channel strip è molto trasparente, adatto per archi o chitarre acustiche. Utilizzo spesso anche i preamp modificati dell’MCI JH600: 4 con i trasformatori Jensen, 8 con i transistor Mat 02 e vari altri con transistor di diversa natura, oltre ai 12 stock MCI inalterati.

 

LP Mi hai già descritto la catena usata per la registrazione di Vasco: usi anche qualcos'altro? 

MS Mi capita a volte di sostituire il C800G con un nostro Marson Linear 87 con capsula C12 per le background vocals quando voglio che siano ben distinte dalla lead, o magari perché si tratta di un cantante diverso. Succede anche di cambiare totalmente catena, per introdurre dei colori differenti che non si vadano a sovrapporre alla lead, come un Neumann U87 o U67. A volte la scelta è dettata anche dalle modalità di registrazione: mi è successo di dover avere il cantante accanto a me nella control room e senza cuffie. A quel punto opto necessariamente per qualcosa di molto meno sensibile come il dinamico SM7. Come preamp prediligo in generale i Neve vintage ma sulla voce mi piacciono anche gli API e i Chandler Germanium. Sui compressori mi piace stare sui classici che conosco bene e di cui so sempre cosa aspettarmi: LA2A, 1176, LA3A,  occasionalmente il DBX160 e ultimo ma non meno importante il versatilissimo Distressor EL8.

 

LP Parliamo della la tua struttura del gain: fai lavorare molto il pre, quasi alla saturazione, prima di entrare nel comp/limiter, o preferisci utilizzare il livello di ingresso del comp/limiter per gestire la saturazione?

MS Mi piace far lavorare parecchio il preamp, cercando l’occasionale clip rosso (se è un modello che lo prevede) nelle parti più loud. Va anche detto che per fare ciò seguo e regolo il gain sempre in base alla parte della canzone che sto registrando. Cerco di prevedere le parti più intense e abbasso il trim e faccio l’opposto nelle parti più soft. Così facendo cerco di mantenere un livello più o meno costante in ingresso prima del compressore e poi del convertitore. Se l’artista in questione approccia la canzone per sezioni è più facile perché posso cambiare il gain tra un take e l’altro ricordandomi i settaggi per sezione nel caso volesse poi fare dei punch; se invece preferisce cantare in un unico take il cambiamento avviene in real time cercando sempre di muovere il knob nei buchi tra una parola e l’altra affinché il salto non sia udibile: diventa così una vera e propria performance in sync con il cantante! In uscita del compressore e in ingresso del convertitore mi tengo ovviamente lontano dal clip digitale e di questi tempi lavorando a 32bit floating point non mi preoccupo nemmeno più tanto di avere un segnale  occasionalmente troppo basso come all’epoca del 16 bit. Cerco di rimanere all’inizio del giallo sul meter, ma se in un particolare passaggio per qualche ragione il livello è molto più basso non ne faccio una tragedia, semplicemente lo boosto con il clip gain, piuttosto che ostinarmi ad avere tutto sempre al limite del clipping per poi inevitabilmente avere prima o poi un passaggio distorto che rovina la take migliore del giorno. 

 

LP Come usi i monitor audio e si cosa ti basi per capire se il mix funziona?

MS Il mio ascolto in studio è sempre a un volume contenuto, non ho mai misurato i dB effettivi ma per intenderci riesco a parlare comodamente con chi mi sta accanto senza dover ne’ urlare ne’ abbassare il volume. In questo modo riesco a lavorare a lungo senza affaticare le orecchie. Ad intervalli regolari faccio un ascolto ad alto volume per evidenziare eventuali problemi di low end o frequenze fastidiose sulle medio alte. Uso due set di speakers principali: le Adams A8X e le classiche NS-10, oltre che a un paio di mini speaker generici con amplificatore valvolare che replicano un setup casalingo o da computer. Utilizzo queste ultime come controllo finale del mix, per assicurarmi che tutta l’energia della canzone venga trasmessa e distribuita come voglio anche attraverso speakers di dimensioni ridotte. Per controllare invece che le voci siano al volume giusto abbasso quasi a zero e se riesco a comprendere tutte le parole vuol dire che non corro il rischio che la lead sia offuscata da qualche altro strumento. In passato avevamo fisse anche le Adams S3A ma sembravano essere forse troppo grandi per la stanza e non performavano al meglio, ora le teniamo come floater quando abbiamo sessions in altri studi. 

 

LP Quali sono i plug-in che usi più spesso?

MS Fabfilter Pro-Q 2 è il mio preferito per correggere qualsiasi problema, flessibilissimo e con il miglior feedback visivo che ancora non ho trovato in nessun altro plug-in. Per gli effetti invece tutta la collezione dei Soundtoys: Echoboy e Decapitator in primis, ma anche Little Alter Boy per manipolare le voci e Devil-Loc Deluxe per un crush senza pari. Effect Rack invece per le chitarre ed effetti estremi. Uso tantissimo anche Space di Avid, in particolare la patch Ambience dell’emulazione del AMS RMX e la Brass Room dal Bricasti. Quando lavoro ITB per ragioni di praticità mi piace la Channel Strip di Avid, di solito in modalità DSP per alleviare il processore del computer in sessions pesanti: con un plug-in solo riesco a fare quasi tutto e in più è stock di Pro Tools cosicché non mi devo preoccupare se trasferisco la session in un altro studio. Celemony Melodyne 4 è un must oggigiorno praticamente in ogni disco per correzioni del tutto trasparenti e naturali e metto in uso Autotune 8 solo per il tipico effetto T-Pain o robot. Izotope RX è semplicemente miracoloso: ha salvato più di una volta performance fantastiche ma rese inutilizzabili da rumori improvvisi e inaspettati. 

 

LP Come gestisci il bus stereo, con quali outboard e plug-in?

MS Lo stereo bus compressor è forse il pezzo più particolare e inusuale dello studio, un Marson Audio LA3Some, ovvero un clone di uno stereo LA3A costruito in house da noi. In passato ho usato il classico Neve 33609J o un clone sempre Marson Audio del SSL Bus Compressor G+, ma quel particolare LA3Some ultimamente sembra reagire bene a qualsiasi tipo di materiale: produce una compressione trasparente, con un floor noise bassissimo e un gain enorme. In generale tengo il compressore inserito sin da subito e regolo il mix in modo da non eccedere mai i 3-4 dB di compressione in modo da passare al mastering engineer un segnale con ancora tanta dinamica e ampia headroom. Se invece lavoro a del materiale per la televisione e film in cui so che non ci sarà una fase di mastering vera e propria, allora posso spingere il compressore di più, mantenendo sempre integro il mix e facendo clippare il convertitore dell’Apogee Rosetta 200 che uso come 2-track con il soft-clip inserito. Nel tempo si è rivelato essere un setup pratico che funziona per il nostro workflow e si traduce bene all’esterno dello studio.

 

LP Collabori con molti professionisti, cosa hai imparato da loro e sul lavoro?

MS Una parte fondamentale del mio lavoro, che nessuna scuola può insegnare, è l’atteggiamento da mantenere in studio: per una session di successo la parte psicologica è importante tanto quanto sapere come settare un sidechain o microfonare un’orchestra. Spesso ci si trova chiamati ad avere a che fare con personalità complesse e sfaccettate e a doverle gestire proprio nel momento più vulnerabile come quello di un’artista che cerca l’ispirazione o è in uno spazio mentale creativo. Capire i rapporti tra le persone presenti in studio, rispettarne a pieno i ruoli e prevederne le reazioni e le richieste è un arte a sé stante che arriva solo con l’esperienza. Nel mio caso sono stato fortunato sin da subito a lavorare fianco a fianco con professionisti di altissimo livello come Mike Tacci, ingegnere del Black Album dei Metallica, e poter osservare da vicino sia il suo approccio alla registrazione, sia il suo modo di comportarsi in studio. Coi musicisti si sviluppa nel tempo un rapporto di studio che ti porta a conoscerne le abitudini e le preferenze, per esempio quando registro Vinnie Colaiuta so già prima di entrare in studio che tipo di click vorrà, quanti tom userà, quanto tempo avrò per trovare e correggere eventuali problemi nella control room e quante volte vorrà sentire il brano prima di sedersi e suonare (una sola volta scarsa). Le sessions di chitarra sono per me sempre interessanti ed educative,  essendo io così affezionato allo strumento: da Michael Landau a Tim Pierce, fino agli assoli di Simone Sello sui brani di Vasco, trovano tutti sempre il modo di stupirmi in intrecci di arrangiamenti per me impensabili.

 

LP C’è molto analogico nello studio, è ancora così indispensabile?

MS In registrazione assolutamente sì. In mixing per me è in primis una questione di abitudine sonora e velocità di esecuzione. Il livello qualitativo dei plug-in e delle DAW di oggi è fantastico e non esiste più quella disparità rispetto all’analogico ovvia fino a qualche anno fa, per me si tratta di raggiungere il sound che voglio nel minor tempo possibile e trovo che far passare il segnare attraverso le componenti di una console vintage aggiunga una componente organica e naturalmente piacevole alle mie orecchie che dovrei altrimenti faticare per ricreare in digitale. La parte di preproduzione è sempre tutto in the box per ovvi motivi di praticità, mentre al momento del mix il mio workflow prevede un submix in Pro Tools in cui raggruppo le tracce simili e le splitto su 32 canali dell’MCI. È un sistema ibrido in cui decido di volta in volta in base al numero di tracce e al brano, cosa lasciare diviso e cosa raggruppare, di solito la batteria ritorna completamente splittata, mentre il resto ritorna sul banco in coppie di canali. Sull’MCI ho poi 4 VCA extra che di solito uso per la parallel compression della batteria e il ritorno di uno Yamaha SPX90, mentre sulle due coppie di effect returns stereo ho sempre patchato due riverberi Lexicon. Lascio a Pro Tools praticamente solo le automazioni di volume dei sends interni e le equalizzazioni chirurgiche. Tutto il resto è ancora affidato agli outboard o agli equalizzatori del banco. Una volta terminato il mix stampo quante più stems possibili per cercare di prevedere eventuali revisioni future perché il recall è comunque fuori discussione, di solito per motivi di tempo, ma anche perché cercare di ricreare la posizione di ogni singolo knob o fader a mano è una battaglia persa in partenza. Ciò detto mixo comodamente anche in the box se necessario, ma il risultato è semplicemente diverso (ne’ meglio ne’ peggio) principalmente per l’approccio mentale che si utilizza. Negli anni il sistema di Pro Tools del master bus è migliorato sensibilmente, ma ancora lo stereo bus modificato dell’MCI con gli Op-Amp Class A Jensen 990c fa la differenza in quanto a headroom e immagine stereo del mix.

 Photo Credit: Andrea Jako Giacomini

 

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